mercoledì 15 febbraio 2012

Un popolo serio ...un governo serio



Tokyo sta traendo le conseguenze della nuova situazione: scoraggia gli investimenti esteri in ditte nipponiche.
Takao Kitabata, primo direttore generale del potente ministero dell’Economia, Commercio e Industria (il celebre MITI), di fronte a una platea di 130 grandi imprenditori ha recentemente raccomandato che le aziende giapponesi devono stare attente a scegliersi gli azionisti, una categoria che ha definito «instabile, irresponsabile ed avida» (2): descrizione in cui è facile riconoscere i capitalisti americani di ventura, gli hedge fund, i private equity fund, eccetera: quelli che portano i capitali roventi, rapidi ad arrivare e ancor più rapidi a uscire.

Da sempre, benché abbia firmato gli accordi GATT sul libero commercio, Tokyo mantiene una lista di attività economiche in cui un investimento straniero superiore al 10% deve essere sottoposto ad autorizzazione dello Stato, sulla base della «sicurezza nazionale».
Questa lista di produzioni (e imprese) protette dalla speculazione estranea viene giorno per giorno accresciuta di nuove voci.
Il ministero delle Infrastrutture e Trasporti ha dato un altolà all’appropriazione da parte di capitali stranieri degli aeroporti giapponesi.

Ciò perché la banca australiana Macquarie ha acquistato il 20% della ditta (quotata in Borsa) che possiede il terminal dell’aeroporto di Haneda, Tokyo.
I dirigenti giapponesi si sono accorti con allarme che la proprietà straniera di imprese quotato alla Borsa di Tokyo ha raggiunto la percentuale record del 28%.
Imprese altamente competitive come la Nintendo (videogiochi) e all’avanguardia come la Fanuc (robotica) sono straniere al 46%.

L’ideologia giapponese è ben espressa dalla motivazione addotta dal ministero dell’Industria e Commercio (MITI) per spiegare la sua ostilità all’accesso di capitali stranieri di maggioranza nelle industrie strategiche nipponiche: «Siamo preoccupati che investitori stranieri possano non agire in accordo con la politica di Stato, per esempio in tempo di crisi, quando possono non investire a sufficienza nelle infrastrutture».
Naturalmente il Financial Times e il Wall Street Journal strillano al «protezionismo giapponese», al «dirigismo», allo «statalismo».


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